Di Giorgio Cauchi
Recensione "Il violino nero"
Sulla scia dei romanzi brevi ma significativi, segnalo questo di Maxence Fermine, "Il violino nero". Il protagonista del racconto, un violinista dal grande talento, decide di abbandonare la sua carriera in giro per il mondo per realizzare una grande opera che possa essere il simbolo di tutta la sua esistenza. Egli è già un prodigio e riesce a capire la musica in maniera tanto profonda da diventare una cosa sola con il suo strumento e far vibrare la sua anima attraverso le corde del violino. Pieno di solitudine e inquietudine conosce dunque Erasmus, un vecchio liutaio di Venezia che gli apre le porte del cuore raccontandogli il mistero del violino nero che possiede. Quel violino nero infatti, avvolto da oscure promesse e da un potere speciale, diventa così il simbolo di un amore straziato, devastante e tragico che non può essere vissuto perché maledetto fin dall'inizio: esso assume le sembianze di una voce di donna talmente celestiale da essere paragonata a Dio e che il protagonista vuole riprodurre a tutti i costi. Il libro, scritto in maniera dolce come se fosse sussurrato, appena accennato, e pregno di luci ma anche di ombre, esalta al massimo la musica e la libertà, come attimi di follia che tutti ricerchiamo nelle nostre vite per fuggire dalla realtà quotidiana. Consigliato
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